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Pavia Islanda in bicicletta, strada

Pavia – Islanda in bicicletta

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Primo viaggio in solitaria, prima esperienza in bicicletta, nessuna preparazione atletica, budget da weekend con gli amici e un’innata capacità di adattamento, qualche tutorial di cicloturisti esperti e decido di partire.

Itinerario? È inverno: Pavia-Islanda. Bicicletta e tenda. Semplice. Lascio il lavoro, compro il materiale e mi tatuo sulle mani simboli nordici per buon auspicio. Andata.

Arrivato a Basilea imbocco la ciclabile del Reno precisamente la Eurovelo 15 che mi porterà fino in Olanda, seguendo il fiume che tracciando il confine tra Francia e Germania terminerà la sua corsa gettandosi nel Mar del nord.

È tutto vero sono finalmente in viaggio, le gambe cavalcano, il cuore sorride, il fiato aumenta e la mente bisbiglia tra sé e sé incredula del fatto che le ancor poche pedalate avevano già lasciato sull’asfalto il primo capitolo di un libro che sognavo di scrivere da tempo. Tutto è più bello di come pensavo, sono più forte di come credevo.

La direzione è una sola: continuare verso nord fino in Danimarca per poi salpare e raggiungere l’isola vichinga.

Ogni giorno dura una vita, le strade mi regalano nuovi scenari, nuove amicizie e la fatica è l’ultimo dei miei pensieri. Pedalo a ritmo vivace e le vie sono scanalature di un vinile impolverato che tento di pulire ad ogni sorso di borraccia, conosco le melodie ma non le parole, lascio che il caso le scriva per me.

Piove, diluvia, nevica, non mi fermo, ogni tanto spunta il sole come per dire “Hey tranquillo amico, ti guardo io le spalle”.

Arrivo in Olanda, dove tra paesaggi meravigliosi, erboristerie locali e folclore notturno riesco anche a dar spazio alle mie doti da pittore, dipingendo affreschi in una pizzeria siciliana per sdebitarmi della loro ospitalità dopo aver avuto dei problemi con la mia sim card. Ringrazio e saluto.

Il viaggio continua verso nord dove alluvioni e freddo mi causano non pochi problemi, di notte il mio unico peluche è un fornello da campeggio che mi scalda e asciuga con degno affetto. Ero al confine tra Germania e Danimarca quando la mia tenda nel cuore della notte si allaga, i miei 5 strati di vestiti fradici, cellulare annegato e fuori uso, ho freddo, troppo freddo.

Trovo rifugio in una locanda di un piccolo paese, precisamente a Kropp, sono le 7 di una mattina infernale, ma grazie all’aiuto di un generosissimo quanto stravagante signore tedesco, il quale, dopo avermi invitato a casa, fatto ascoltare musica rock fumando sigari e asciugato i vestiti mi dà un piccolo strappo con il suo camper fino in Danimarca. È fatta!

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Pavia Islanda in bicicletta, riparazione

Nuova bandierina conquistata. Il paese citato da Andersen offre paesaggi meravigliosi e tempo per riprendere un po’ le forze. Arrivo finalmente ad Hirtshals, porto più a nord del paese, dove locali genuini, simpatici e alcolizzati seriali riescono a darmi a modo loro un caloroso “in bocca al lupo” dopo aver ascoltato i miei stralunati racconti.

Ultima scorta di provviste e mi preparo per imbarcarmi, prima visiterò le Isole Faroe ed infine la tanto ambita meta. Il viaggio in nave ha la trama di “Paura e Delirio”, per fortuna non di “Titanic” dove a cavallo di sbronze, accompagnato nelle gesta da un nuovo amico motociclista scozzese festeggiamo per la grande impresa. Siamo i passeggeri più leggeri, sia di mezzi sia di spirito in quel momento.

Finalmente approdo. Tutto è ghiaccio, tutto è gelido, un mantello bianco che ricopre ogni cosa, non ho mai sentito così tanto calore dentro di me. Gli sguardi attoniti dei passeggeri a terra nel vedermi così indifeso al cospetto di tanta magnifica ostilità, rispetto ai loro bolidi e attrezzature scaturiscono al mio corpo nuovo vigore, i miei occhi hanno il colore dell’Aurora.

Tutti si precipitano verso i loro mezzi come una nuova corsa all’oro, un podio immaginario ha qui il sapore di una scalinata in paradiso cullata da canti di valchirie infernali.

Innumerevoli salite, respiri densi di vapore e fortunati passaggi da parte di avventurieri mi catapultano fino a Reykjavik in un solo giorno invece che dieci come avevo calcolato.

Visito la città più settentrionale d’Europa assaporando la forte ospitalità vichinga e dopo tre giorni di sosta turistica mi preparo ad uscire di nuovo verso la selvaggia natura ancestrale che mi rende vulnerabile e inerme contro bufere e vento ma estremamente vivo e caparbio verso l’ultimo capitolo del viaggio.

L’estrema fatica e bellezza mettono a dura prova la mia emotività e le lacrime versate sono molte, tutte hanno il sapore di gioia. Cascate, gayser, cavalli selvaggi che al mio passare si inchinano come segno di rispetto, il vento fa da padrone assoluto, re incontrastato dell’isola, guardiano ed eremita dei monti, mi osserva e prepara trappole lungo il cammino.

Cicloviaggiatore, Islanda

Il mio dialogo con Eolo dura 4 infiniti giorni, mi sento degno rivale. Il bianco iniziale col passare dei chilometri prende colore passando da tonalità calde di praterie dorate, verde vegetazione fino al nero più intenso della desertica e spettrale Black Beach, il vento non dà tregua, di notte mi riparo clandestinamente dentro a delle guest house, la mia tenda è fuori uso.

Rischio molto. Arrivato incredulo fino a Vik, una colossale tempesta colpisce il villaggio e sua maestà vento mi fa letteralmente volare e cado rovinosamente a terra, per fortuna niente danni seri, ha voluto solo sbeffeggiarmi per l’ultima volta, ferito dalla mia impresa.

Pullman e autobus sono bloccati causa tempesta, passo mezza giornata a chiedere un passaggio per tornare a Reykjavik perché il giorno dopo mi sarei dovuto imbarcare per decollare fino a casa, ormai stremato mi preparo a cercare rifugio ma le condizioni climatiche questa volta non mi avrebbero risparmiato, quando trovo incredibilmente passaggio da parte di una coppia di giovani australiani, e smontato la bici nel bel mezzo di un tifone mi precipito in auto verso la salvezza.

Non mi resta che raggiungere l’aeroporto, ma il caso vuole che io mi perda e finisca in strade con segnaletiche con l’icona a forma di teschio.

Ormai però, nulla mi può spaventare. Proseguo, arrampicandomi letteralmente con la bici, uno sforzo immane, il mio viso è parallelo a 20 cm dall’asfalto. Spingo con tutta la mia forza.

L’estrema fatica ha come premio delle discese infinite circondate da paesaggi indimenticabili.

Arrivo al piccolo aeroporto stremato, mi sdraio per terra insieme ad altri viaggiatori sconosciuti. Sguardo al soffitto, silenzio assordante, restiamo tutti a bocca aperta, chi dorme e chi è sveglio. Scrivo agli amici più cari, gioiosi almeno quanto me, “sto per tornare, ho voglia di abbracciarvi”.

La bicicletta, ormai cara amica e fedele compagna di viaggio deve ahimè per forza di cose rimanere in quella terra leggendaria, causa problemi di trasporto aereo. La spoglio e le do l’ultimo saluto, congratulandomi con lei per questa impresa.

Eravamo due pivelli, uno scappato di casa e una forse troppo economica biga, ma ne abbiamo fatta di strada, ci siamo cuciti addosso i gradi di 7 bandiere europee, due isole e più di 2500 km.

Ringrazio tutti gli angeli custodi conosciuti durante il viaggio, mi hanno insegnato che più un ostacolo è grande più grande è l’amore e la gioia nel superarlo.

Non puoi fermare il vento, Solo fargli perder tempo.

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