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Avevo salutato il Vietnam, sorvolandolo con l’aereo e osservandolo dall’oblò del mio finestrino. Avevo compilato l’application form che mi era stata data per richiedere il visto cambogiano e con la consegna delle due fototessere avevo appena ottenuto il timbro sul mio passaporto. Ero finalmente arrivato in Cambogia!
La prima cosa che mi colpì fuori dall’aeroporto di Siem Reap fu il gran caldo, un’umidità che mi ricoprì di tante piccole goccioline di sudore. Non tirava un filo di vento e anche le grandi bandiere cambogiane raffiguranti la sagoma di Angor Wat, la mia destinazione, penzolavano verso il basso.
Mi feci largo tra la gente numerosa alla ricerca di un tuk tuk che mi portasse a destinazione e senza stare troppo a contrattare presi il primo e mi diressi verso la Guest house che avevo prenotato a Siem Reap.
Sfrecciava sulle strada impolverate con la giusta andatura che mi permise di godermi i primi scorci di questo luogo magico. Il tramonto che accompagnò il mio arrivo fu il miglior benvenuto che si potesse ricevere.
Avevo trovato una buona sistemazione vicino a Pub Street, quasi in centro città. L’aria condizionata funzionava un po’ si e un po’ no e di certo questo non aiutava con i trentadue gradi che il termometro segnava, ma i padroni di casa erano stati gentilissimi e mi avevano accolto con caloroso sorriso, questo mi era bastato per confermare la mia stanza.
In strada c’era un sacco di gente, i locali dedicati al karaoke brulicavano, chi mangiava e beveva fino a tarda notte e chi ballava e si sbronzava… turisti e locali insieme.
Con Kosal, l’autista del tuk tuk che mi aveva portato fin qui dall’aeroporto, mi accordai anche per la mattina seguente. Avevo bisogno di recuperare qualche ora di sonno, così fissammo il nostro appuntamento verso le nove del mattino.
Mi svegliai eccitato per quello che la giornata mi avrebbe riservato, feci prima colazione e poi uscii dal mio alloggio. Kosal era lì, puntualissimo e con un sorriso mi diede il mio secondo buongiorno della giornata.
Salì su quel tuk tuk sgangherato, il mio carretto personale e partimmo.
Iniziammo a chiacchierare, io chiedevo al mio driver informazioni su cosa vedere e su come avremmo organizzato la nostra intera giornata insieme, lui mi domandava da dove venissi e del mio viaggio in Vietnam e della Thailandia.
Ci mettemmo quasi mezzora a raggiungere il parco archeologico, pagai l’ingresso per più giorni e una volta arrivati, Kosal mi disse dove mi avrebbe aspettato. Lo salutai, scesi dal mio trabiccolo e rimasi immobile, ero davanti a uno spettacolo bellissimo, unico, indescrivibile.
Angkor Wat è sicuramente il sito più importante della Cambogia, meglio conservato e uno dei più conosciuti al mondo, inserito dall’Unesco fra i patrimoni dell’umanità nel 1992.
Questa meraviglia si estende su una superficie di quattrocento chilometri quadrati, ricchi di templi induisti e buddisti. Il più famoso è appunto quello di Angkor Wat, il monumento religioso più grande al mondo.
Questo meraviglia rimase nascosta e sconosciuta in occidente sino alla metà del diciannovesimo secolo, quando degli esploratori, ma soprattutto Henri Mouhot, raccontarono di una città perduta nella giungla cambogiana, inghiottita dalla vegetazione.
Il complesso di Angkor Wat, un capolavoro dell’architettura Khmer, risale al dodicesimo secolo, in origine concepito come edificio indù, ma trasformato poi in tempio buddista. Si trova all’interno di un gigantesco fossato e simboleggia il monte Meru, la montagna degli dèi.
Ed eccomi qui, stavo per fare il mio ingresso in questo luogo magico, camminando sulla via d’accesso vegliata dalle statue del Naga, il serpente a sette teste protettore di Buddha e quelle del leone guardiano.
Raggiunsi il primo cortile dell’immenso complesso al cui interno vidi degli edifici che un tempo erano adibiti a biblioteche e dove osservare le diverse sculture femminili che dominano le pareti del tempio.
Poi i due specchi d’acqua con le ninfee e finalmente il grande edificio “il tempio della città” con le sue cinque torri che appaiono in tutta la loro maestosità. La struttura centrale del complesso di Angkor è organizzata su tre livelli a terrazza, raggiungibili tramite gallerie e corridoi, ricchi di bassorilievi e racconti religiosi scolpiti sulla pietra.
Ultima la torre centrale in direzione del cielo, dove poter ammirare una vista panoramica meravigliosa sul tempio, e godere dei riflessi del sole sulla pietra arenaria che costituisce il sito di Angkor.
Tra le molte persone presenti e intente a fotografare trovai il “mio” angolo. Appoggiai la schiena su uno dei tanti pilastri, mi fermai a godere di quello spettacolo che così velocemente mi stava passando sotto gli occhi e che mi stava inondando di energia.
Ero consapevole di aver appena realizzato uno dei miei più grandi sogni da “esploratore” e quasi non riuscivo a rendermene conto. Ovunque mi girassi c’era qualcosa che meritasse una fotografia, ma ero così eccitato che quasi non volevo fotografare nulla, volevo tenere questa magia solo per i miei occhi eppure, c’era ancora tantissimo da vedere, il bello doveva ancora venire.
Ritornai verso i corridoi decorati, persi del tempo ad esplorare nuovi cortili più isolati e meno turistici e infine riattraversai l’intero complesso, e raggiunsi il fossato.
Passai di nuovo davanti alle statue del Naga, e a quelle del leone guardiano e mi incamminai verso Kosal. Lui era li, mi aspettava. Mi chiese se mi era piaciuto, bastò lo sguardo per rispondergli.
La mia nuova destinazione era Angkor Thom l’ultima capitale dell’impero Khmer edificata ad Angkor dopo solo 100 dalla costruzione di Angkor Wat.
Circondato da un fossato, vi si accede tramite cinque ponti, presidiati dalle statue naga a nove teste. È l’unico complesso ad essere stato costruito come tempio buddista.

Al suo interno, domina il Bayon il tempio delle grandi facce, caratterizzato da 54 pinnacoli ognuno dei quali su ogni lato è raffigurato il volto del sovrano Jayavarman VII per un totale di 216 volti. Ovunque mi fossi girato, sarei stato continuamente osservato da questi faccioni.
L’idea era quella di incominciare a visitare i cinque templi denominati con le lettere T – U – V – W – X. Templi in rovina e poco visitati, ma di un fascino unico.
La vera magia era osservare gli altissimi alberi che in un qualche modo si intrecciavano con la struttura. Dopo aver scattato le fotografie di rito ancora una volta mi ritrovai a riporre tutto nello zaino, trovare un punto dove sedermi e trovare il mio angolo di pace.
Chiusi gli occhi. Il silenzio era la seconda magia di questo posto incantato e andava ascoltato.
Passando dalla parte nord dell’Angkor Thom, nella lunga strada che porta al Bayon visitai le lunghe strutture estese per il lungo, chiamate “Terrazza del Re Lebbroso” e “Terrazza degli Elefanti”, poi proseguendo a sud finalmente arrivai al Bayon. Questa struttura simbolo di Angkor Thom era impressionante per dimensioni e l’unicità di questo luogo si poteva cogliere al primo sguardo.
Nella camera centrale si trova una statua del Buddha adornata con incensi e fiori, che riescono a rendere questo luogo ancora più suggestivo.
Ripresi la mia visita, superai i diversi gopura, (una sorta di torre monumentale posta generalmente all’entrata di ciascun tempio) diverse gallerie, molte delle quali avvolte per la maggior parte dalla vegetazione e arrivai stupito davanti al Preah Palilay.
Un tempio bellissimo caratterizzato dalla torre centrale che somiglia a un camino e che unisce perfettamente l’architettura indù e quella buddista.
Ancora una volta rimasi stupito dalla natura e dai grandi alberi che prendevano la scena centrale, posizionati sulla scalinata che portava alla camera centrale dell’edificio.
A completare un quadro perfetto che sembrava sempre più simile a un dipinto, fu la vista di un monaco e della sua veste rossa che spiccava per i suoi colori, lo segui a distanza senza invadere il suo spazio.

Avevo lasciato per ultimo il tempio di Ta Prohm reso celebre per il film Tomb Rider e immaginato nella mia testa almeno un centinaio di volte. Costruito in stile Bayon e facente parte anch’esso del tempio di Angkor, fu lasciato nelle stesse condizioni in cui venne trovato, inghiottito dalla giungla.
L’atmosfera creata dalla combinazione degli alberi cresciuti sulle rovine, lo ha reso uno dei posti più popolari e ricchi di fascino qui ad Angkor.
Le radici intrecciano e abbracciano letteralmente le pietre millenarie della città di Khmer che si sviluppano intorno alle mura, la giungla ha conquistato letteralmente il tempio e germoglia magica e potente tra le rovine.
Fu qualcosa di incredibile ammirare un luogo del genere e con un fascino così grande, fiabesco, il luogo più affascinante che avessi mai visto. Mi venne distinto chiudere gli occhi, portarmi le mani unite al petto e cercare di immaginarmi lo splendore di un tempo e mi emozionai.

La mia giornata era quasi giunta al termine, avevo solo un’altro appuntamento da rispettare, uno di quelli importanti e imperdibili. Il tramonto.
Ritrovai Kosal appisolato sul suo trabiccolo, lo svegliai, ci sorridemmo a vicenda poi gli indicai il sole. Aveva già capito, sapeva dove avrebbe dovuto portarmi e io mi affidai a lui.
Non ci volle molto, in pochi minuti avevamo raggiunto il luogo di cui avevo tanto sentire parlare. Ero ai piedi delle rovine del tempio Phnom Bakheng dedicato al culto di Shiva.
Kosal mi consigliò il sentiero da prendere, in salita mi incamminai passando attraverso la giungla sino a raggiungere la cima della collina e il tempio con le torri.
Cercai un posto a sedere silenzioso, anche se non era facile con le tante persone che ogni giorno raggiungono questo sito. Posai i miei occhi verso l’orizzonte, il punto panoramico della collina dominava l’intera vallata e laggiù la sagoma inconfondibile del tempio di Angkor Wat. I colori del sole mi regalarono uno dei momenti indelebili e più incredibili della mia vita.
Scesi la collina felice e già sognavo quello che mi sarebbe aspettato la mattina seguente. L’alba ad Angkor Wat!
Ritrovai Kosal, lo ringraziai per avermi scorrazzato per l’intera giornata e mi feci riportare alla Guest House. Ci demmo appuntamento per la mattina seguente.
Mi lavai velocemente, scesi in Pub Street per trovare un locale e mettere qualcosa nello stomaco, poi tornai in stanza, era stata una giornata piena. Mi addormentai in pochissimo tempo.
Le ore di sonno non furono molte, alle 4.40 la mia sveglia suonò. Mangiai della frutta per colazione che mi ero fatto preparare la sera precedente e usci in strada ad aspettare Kosal.
Dopo quasi dieci minuti, il mio autista non era ancora arrivato. Iniziai a preoccuparmi perché sapevo che l’alba non mi avrebbe aspettato. Senza pensarci troppo mi incamminai con l’intento di cercare e salire sul primo tuk tuk che avrei trovato.
Ad un certo punto alla fine della strada ecco arrivare il trabiccolo di Kosal. Mi salutò con un gran sorriso, si scusò per il ritardo e mi diede delle banane. Si era fermato apposta a prenderle perché immaginava che a quell’ora in Guest House non avrebbero servito la colazione.
Non ebbi il coraggio di dirgli che avevo già mangiato, quel gesto era uno di quelli che restano impressi nella mente, ma soprattutto nel cuore per sempre. Ancora una volta, chi ha di meno, mi stava dimostrando che è in grado di dare di più.
Arrivammo al tempio intorno alle 5.30. Percorsi il cortile avvolto nel buio aiutandomi con la torcia frontale che avevo portato con me, poi raggiunsi la postazione di fronte ad Angkor Wat sul lato sinistro, alle spalle del monte Meru.
C’era già qualche gruppetto di persone seduto e qualche fotografo con la sua attrezzatura. Io andai a cercare un posto dove poter godere dello spettacolo che tanto avevo sognato e sistemai la mia macchina fotografica. Volevo immortalare quel momento unico e allo stesso tempo volevo viverlo.
A mano, mano che passava il tempo, sempre più gente arrivava e andava a posizionarsi negli spazi ancora vuoti.
Intorno alle 6.40 lo spettacolo iniziò. Vidi spuntare il sole a lato della torre centrale e salire piano, i suoi raggi incominciavano a illuminare il tempio, il cortile e la gente che era li ad attenderlo.
Il laghetto davanti a me si colorò, quella meravigliosa palla di fuoco diede vita magicamente alle ninfee e alle sagome delle piante che vi si riflettevano. Un’energia fortissima scorreva dentro di me e i primi raggi di sole iniziavano a scaldarmi, poi mi voltai per un momento, erano centinaia le persone dietro di me. Eravamo tutti li per lo stesso spettacolo, noi stessi eravamo e facevamo parte di quello spettacolo.
Ne era valsa la pena essersi svegliati così presto, la risposta era li davanti da a me, intorno a me e mi aveva aperto il cuore, ancora una volta. In quell’istante i miei occhi e la mia memoria sarebbero diventati la mia macchina fotografica.
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