Condividi questo articolo!
Può un viaggio cambiarti la vita?
Sembra proprio di si, a me è successo davvero!
Era il 2004 quando arrivai a Cuba insieme a Max, amico di diversi viaggi nel mondo. Era la prima volta con uno zaino sulle spalle ed eravamo pronti per vivere la nostra avventura a zero comfort.
Pronti si, ma sicuramente ora lo posso dire senza vergogna, non eravamo molto preparati.
Ritirammo gli zaini, poi fu la volta del controllo passaporto. Quel timbro era diverso da tutti gli altri, era quello delle zero organizzazioni, delle zero prenotazioni, era quello della pura libertà di viaggiare a modo nostro, con sfrontatezza e incoscienza.
10 minuti all’Havana posson bastare
Ci gettammo tra le strade cubane, costeggiammo il Malecòn, spirava una brezza dal mare, ma l’aria era calda e umida. Tra le case colorate respirammo da subito l’atmosfera della città, tra balli e musiche in strada.
Cercare di sembrare meno turisti possibili, era questo uno dei suggerimenti letti sui diversi diari di viaggio e così cercammo di fare. Appena uscimmo dal nostro albergo, Max indossava un cappello da Cow Boy e io occhiali fiammanti e vistosi che brillavano ai raggi del sole.
Il tempo di sederci al un tavolino di un chiosco e bere una birra, si avvicinò un ragazzo cubano chiedendoci quasi a colpo sicuro se fossimo Italiani.
Ci convinse a scambiare alcuni dollari in pesos locali, dicendoci che per le spese quotidiane avremmo risparmiato un sacco di soldi.
Morale della favola, i pesos che ci ritrovammo tra le mani, non bastarono nemmeno per pagare le birre.
“Max, potevamo farne di cazzate, ma fidarci del primo pirla che passava per strada e scambiare dei soldi proprio no.”
“Hai ragione, siamo due imbecilli!”
“Siamo all’Havana da meno di un giorno e già mi girano le palle! Cosa dici se torniamo in hotel prendiamo i nostri zaini e ce ne andiamo di corsa?”
“Taxiiiii… !!!”

Guanabo e la grande svolta
Arrivammo a Guanabo e ci sistemammo nella nostra prima casa particular, che avremmo condiviso con altri ragazzi italiani.
Adelina, la padrona di casa, aveva una faccia molto gentile e risultò da subito adorabile. Era una donna curiosa che non smetteva mai di parlare e quando scoprì che in Italia lavoravo come cuoco, mi portò subito in cucina.
Quella sera stessa, io e Adelina preparammo la cena per tutti quanti.
Il mattino seguente, arrivò il momento di dare una svolta al nostro viaggio e decidemmo di noleggiare un’automobile che ci avrebbe permesso di partire alla scoperta di Cuba.
C’era solo un problema, la carta di credito di Max non veniva accettata, nonostante la sua banca gli avesse assicurato che non avrebbe avuto nessun problema.
“Ru e ora cosa facciamo?”
“Non lo so Max, possiamo utilizzare solo la mia carta che ovviamente ha un limite, dovremo mangiare, pagare la benzina e dormire. Abbiamo qualche dollaro e i fottuti pesos cubani con i quali al massimo ci compriamo due banane”
“Quindi?”
“La noleggiamo ugualmente, poi qualcosa ci verrà in mente!”
La notte, in una discoteca locale, conoscemmo Gigi, un ragazzo cubano presentatoci dai nostri amici italiani e tra un mojito ed un altro parlando del nostro programma, Gigi si offrì di accompagnarci e farci da guida.
Mettemmo subito in chiaro che non avevamo un soldo per pagarlo, ma lui accettò ugualmente. Disse che sarebbe stata una bella occasione per visitare il suo paese, i luoghi che ancora non era riuscito a vedere e che non vedeva l’ora di partire.

Sulle strade cubane
Lasciammo Guanabo alle nostre spalle, le strade erano ancora buie e deserte e noi eravamo i padroni della caretera. Arrivammo a Cienfuegos, dove Gigi ci invitò a fare visita a sua sorella, dicendoci che ci avrebbe ospitato per la notte.
Serve benzina borbottò Max, dollari o pesos disse ridendo.
“Pesos Cubani ? Vanno benissimo per comprare la benzina al mercano nero” esclamò Gigi.
“In mano vostra non valgono nulla, ma nelle mie possono valere oro!” Si vantò compiaciuto.
Guidammo per delle stradine secondarie, seguendo fedelmente le indicazioni del nostro nuovo eroe poi ci fermammo ad un incrocio. Non c’era anima viva, ma tempo cinque minuti ed ecco spuntare gente da ogni dove.
“Gigi porca puttana dove cazzo ci hai portato”
“Tranquilli, tranquilli, fidatevi di me e datemi i pesos”
Scendemmo dall’auto restando qualche passo indietro, salutammo dispensando sorrisi a tutti, ma senza però togliere gli occhi da Gigi.
“È fatta!” disse e subito dei ragazzini con delle taniche fecero il pieno alla macchina. Una volta effettuato il pieno ce ne andammo sgommando, facendo fischiare le gomme sull’asfalto.
Alla ricerca di un posto per dormire
Abbracciammo la sorella di Gigi che molto dispiaciuta ci disse che non aveva posto per ospitarci e ripartimmo in direzione di Trinidad, dove sicuramente avremmo trovato una sistemazione per la notte, o almeno era quello che speravamo.
Quando arrivammo era già molto buio, costeggiando la litoranea potemmo assistere alla spettacolare migrazione dei granchi di terra, detti cangrejo.
A migliaia dalla foresta si riversavano in massa sulle strade per andare verso l’acqua, così ci spiegò Gigi che aggiunse anche che non era difficile trovare strade chiuse al traffico causa “attraversamento granchi” durante questo periodo.
Cercammo di evitarli, ma non sempre ci riuscimmo poi finalmente vedemmo le luci di un’abitazione. Scendemmo a chiedere ospitalità e giuro che ci sarebbe andata bene qualsiasi sistemazione.
Quella sera la passammo sul pavimento, nel garage di quella casa.
Il paradiso esiste
Dopo una notte quasi insonne, la nostra direzione fu Playa Santa Maria con spiagge ancora incontaminate. Salutammo Gigi che decise di restare in paese e dove per pochi dollari trovammo una casa particular.
Passammo un posto di blocco doganale, lasciammo la strada asfaltata e prendemmo un sentiero polveroso, lasciammo l’auto e proseguimmo a piedi tra la natura selvaggia, poi all’improvviso, una laguna, sabbia bianca, acqua cristallina e soltanto noi. Era un vero e proprio paradiso.
Oggi quel posto, Playa Santa Maria è una zona di residence e villaggi dove il business del turismo ha preso il sopravvento.
Per me, rimarrà sempre quell’angolo di pace, dove sognare con la mente ed essere felice ogni qual volta senta il bisogno di scomparire.
Midpoint
Visitammo Remedios, poi arrivammo a Santa Clara, più o meno al centro di Cuba e ci recammo al Mausoleo dedicato al comandate Ernesto “Che” Guevara per scattare le foto di rito.
La sera, seduti in un bar a bere mojito, Max mi fece notare che eravamo a metà del nostro viaggio, al nostro midpoint, e che avremmo dovuto festeggiare. Fui d’accordo con lui, dovevamo solo trovare un locale dove continuare a bere, ballare e fare un po’ di casino.
Vi ricordate i pesos cubani e le parole di Gigi?
Vi posso assicurare che in mano a un cubano, valgono davvero oro e vi posso assicurare che la sbornia di quella notte rientra tra le migliori sbornie della mia vita, almeno nelle prime dieci!
Un inaspettato risveglio
A parte un grandissimo mal di testa mi ritrovai con innumerevoli sms sul cellulare, amici e familiari che chiedevano dove fossimo e se stavamo bene!?
Il motivo? A Cuba era in arrivo un uragano!
Porca puttana, pure l’uragano ci mancava!
Raggiungemmo il salotto della casa e trovammo i padroni di casa e Gigi davanti alla TV. Ascoltammo le parole di Fidel Castro intento in un suo energico discorso di incoraggiamento.
Era tutto vero, c’era un uragano in arrivo, si chiamava Charley e in serata era previsto il suo arrivo all’Havana.
Ancora oggi conservo l’articolo del giornale. Pensai che questa volta la fortuna ci era stata amica, eravamo lontani dall’Havana e avremmo potuto tranquillamente posticipare il nostro ritorno.
Ritorno al Km 0
Dopo alcuni giorni fermi, ripartimmo in direzione di Varadero, ma scappammo a gambe levate, il turismo che trovammo quasi ci spaventò.
La nuova rotta fu in direzione di Guanabo, dove il nostro viaggio aveva avuto inizio e dove era ora di tornare. Passammo attraverso le favelas sulle montagne e verso sera entrammo in città fermandoci davanti alla nostra prima casa particular, dalla signora Adelina e dove riabbracciammo gli amici italiani conosciuti.
Mi trovai in strada a fumare una sigaretta quando Max mi raggiunse e mi disse: “lo sai vero che non abbiamo un soldo e non abbiamo un posto per dormire?”
“Lo so bene risposi, sto solo aspettando una botta di culo, un segno!”
Ci guardammo in faccia e scoppiammo a ridere.
“Questa è l’esperienza più cazzuta della mia vita” disse Max, “…e non è ancora finita” gli risposi io.Ci raggiunse anche Gigi.
“Ragazzi volevo ringraziarvi è stata un’avventura incredibile, mi avete permesso di vedere una parte della mia terra che non avevo mai visto e di riabbracciare mia sorella. Mi avete offerto cibo e fatto sentire come un fratello, grazie davvero. Che programmi avete?”
“Non abbiamo soldi, dovremo chiamare casa e capire i tempi per un eventuale bonifico.”
“Potete venire a stare da me e inoltre mia mamma è una grande cuoca.”
Max mi guardò ed esclamò: “non hai detto che eri alla ricerca di un segno?”
“Nooo, gli risposi, di una botta di culo !” Scoppiammo a ridere sotto lo sguardo divertito di Gigi che non capì il perché della nostra reazione, ma si unì alla nostra felicità.
Ci abbracciammo tutti e tre con affetto come fratelli.
Chi ha di meno, in realtà ha molto di più da dare
In questo viaggio trovai questa risposta, fu sicuramente una delle più belle mai ricevute in vita mia e che avrei ricordato per sempre.
La casa di Gigi si trovava in una zona residenziale, poco distante da Guanabo, nei caseggiati erano poche le luci accese e si respirava un’aria pura e salmastra spinta da rabbiose folate di vento fresco.
La piccola sistemazione era umile, povera, con pareti colorate e parti di intonaco che si staccavano. Una fila di libri su una vecchia mensola, una fotografia di famiglia in una cornice di legno e una sbiadita raffigurante Fidel Castro con in mano la bandiera di Cuba.
Conoscemmo anche la mamma di Gigi, una donna dalla dolcezza infinita, minuta, un po’ grassottella, con una forte stretta di mano e degli occhi capaci di infondere amore.
Avevamo un tetto dove stare e in quel momento, in quella situazione, in tutta la loro semplicità e con il loro affetto, erano le persone più belle e care che ci potessero capitare.
Temperatura in aumento
Ci mancava anche la febbre!
La sera quando decisi di recarmi in ospedale per un consulto, mi trovavo in un bagno di sudore, mi diagnosticarono placche in gola e una cura a base di penicillina. Sette giorni di punture, una alla mattina e una alla sera.
Tornati a casa la febbre continuò a salire sino a 39 gradi, Mami si offrì subito di farmi lei da infermiera e di farmi la prima puntura.
Tirò fuori da un cassetto una siringa in vetro, grossa come una bottiglia, dicendo che l’avrebbe sterilizzata e che avrebbe pensato a tutto lei.
“Mami, ma quella è una siringa per cavalli!”
“Le ho sempre fatte io le punture ai miei figli!”
“E sono ancora vivi? Davvero ti voglio bene, ti ringrazio, ma quel fucile non incrocerà mai il mio sedere!”
Le dissi che mi sarei recato nell’ambulatorio qui vicino la mattina seguente e lei annuì, riponendo il “fucile” nel cassetto.
Passai la notte e l’intero giorno seguente in casa solo con la Mami, guardando e ascoltando tutti i programmi tv possibili ed immaginabili, comprese le televendite in Spagnolo.
Mi sfamò, mi curò e coccolò e mi fece sentire come a casa.
Ci abbracciammo come madre e figlio, un abbraccio che racchiudeva tutto il nostro affetto e il mio rispetto.
Si può essere poveri, ma si può essere ricchi di amore e in questo la Mami era una delle donne più ricche al mondo che avessi mai incontrato.
Ultimi scorci di viaggio
Max e Gigi avendo ancora la macchina a noleggio pagata per due giorni si improvvisarono taxisti, portando i turisti dal centro del paese alla discoteca locale, racimolando soldi per mangiare.
Cosa posso dire, l’inventiva a Max non è mai mancata, ma questi due insieme si erano superati!
“Ru, ti senti meglio?”
“Sì, sì decisamente! Incomincia solamente a farmi male il culo con tutte queste punture.
Oggi vi raggiungerò in spiaggia!”
Nel pomeriggio scesi in strada, osservai un uomo al volante su di una macchina che tamburellava le dita sul volante al ritmo di una canzone, poi osservai un gruppo di ragazzi intenti a ballare in un angolo della strada.
Raggiunsi la spiaggia, ascoltai per un attimo i musicisti che puntualmente accompagnavano le giornate con le loro canzoni per intrattenere i turisti, poi puntai gli occhi verso il mare e corsi incontro alle onde.
Mi sentivo libero. Spensierato. Felice. Incrociai lo sguardo di Max al bancone del chiosco, lo raggiunsi, c’era già una Cerveza gelata che mi aspettava. Ci guardammo in faccia, nessuna parola, non servivano, ma scoppiammo a ridere, senza nemmeno un motivo preciso.

Può un viaggio cambiarti la vita?
Avevo già la consapevolezza che questo viaggio sarebbe rimasto impresso nella mente per sempre e oggi a distanza di anni è ancora uno dei viaggi che più mi emoziona.
In aeroporto, aspettando il volo che ci avrebbe riportati a casa ripensai a tutto quello che era successo e che avevo vissuto.
A differenza dei precedenti viaggi che in realtà non erano state che semplici, ma bellissime vacanze, in questa occasione sentivo che avevo vissuto davvero un qualcosa di unico e magico.
Mi resi conto che questa avventura avrebbe potuto portarmi ovunque, non era stato importante il dove, ma il come avevo percorso quella strada.
I miei viaggi da oggi in poi, li avrei voluti vivere sempre così, sì magari con un po’ meno sfiga, ma così, vivendoli al massimo, il più possibile a contatto con le culture locali e con il cuore completamente aperto.
Il viaggio a Cuba mi cambiò la vita, mi portò a compiere i primi passi verso una nuova strada, quella alla scoperta del mondo e delle persone.
Max interruppe i miei pensieri e mi riportò alla realtà, “Continuo a pensare a quello che abbiamo vissuto, tu l’avresti mai immaginato tutto questo?” poi ridendo aggiunse: “avremmo potuto optare per il classico villaggio… “all inclusive” ! Una bella vacanza!”
“Hai ragione Max, ma non sarebbe stata la stessa cosa, non sarebbe stato un viaggio”
“Hai ragione, non sarebbe stato un viaggio”
