Non voglio rinnegare nulla, discriminare la questione di quanto fossero stretti i miei orizzonti e di come il mio sguardo fosse cosi basso e cieco al cospetto di tutto quello che il mondo volesse sensibilmente indicarmi nelle sue spaesate direzioni.
Non voglio fare ragionamenti che si concluderanno con un classico “visse felice e contento”, oppure con altre frasi gonfie di retorica, perché questa, fin dal suo principio non è una favola né tantomeno un momento in cui ora voglio parlare da una cima in cui possa sentirmi sazio o appagato dei km che ho macinato, dei treni notturni che hanno visto il riflesso del mio sguardo o dei confini nel globo che ho avuto il privilegio di attraversare…
No, niente di tutto ciò. Se adesso un giornalista, un ventenne al bar o mia madre mi dovesse chiedere: “Claudio in cosa ti senti cambiato in questi 5 anni di viaggio? Qual è la cosa che hai davvero acquisito durante il tuo andare altrove?” Io risponderei soltanto in un modo. L’unica cosa che mi ha consentito di farmi sentire quel briciolo più evoluto rispetto a prima è stato “l’atteggiamento”.
Solo uno sciocco e stupido atteggiamento che è stato in grado di segnare l’unica differenza sostanziale tra ieri ed oggi.